STEPHEN D. KRASHEN, Principles and Practise in Second Language Acquisition

Riceviamo da Pietro Ercolano

STEPHEN D. KRASHEN, Principles and Practise in Second Language Acquisition, University of Southern California, 1982

Stephen Krashen è stato tra gli studiosi di teoria linguistica più influenti degli ultimi decenni, avendo contribuito in maniera decisiva alla ‘svolta comunicativa’ che dalla metà degli anni ’70 ha trasformato il modo di concepire l’insegnamento della lingua straniera o seconda (L2).

Infatti, a partire dall’ipotesi di Chomsky dell’esistenza di uno spontaneo meccanismo di acquisizione linguistica ((Language Acquisition Device, LAD) funzionante secondo le stesse modalità per l’apprendimento della lingua prima e seconda, ai tradizionali metodi didattici basati sul consapevole studio della forma grammaticale (‘learning’) si sostituiscono approcci fondati sull’uso spontaneo della lingua come strumento di costruzione e comunicazione del significato (‘acquisition’). Si tratta evidentemente di un tema di estrema rilevanza per l’insegnante CLIL.

Nel suo testo Principles and practise in Second Language Acquisition del 1982 (disponibile in internet http://www.sdkrashen. com/Principles_and_Practice/Principles_and_Practice.pdf consultato il 02/11/2011, raggiungibile anche attraverso la pagina ‘Stephen Krashen’ in wikipedia, lingua inglese), lo studioso ha raccolto le sue principali idee, elaborando una sintesi della sua teoria dell’Acquisizione linguistica (Second Language Acquisition, SLA) valutando poi alla luce delle sue cinque ‘ipotesi’ sia gli approcci didattici allora prevalenti che quelli, emergenti, di matrice comunicativa.

Il nucleo teoretico del testo è racchiuso nei capitoli secondo, ‘Five Hypotheses about Second Language Acquisition’ e terzo, ‘Providing Input for Acquisition’, nei quali l’autore espone le proprie idee, accogliendo quale propria prima ipotesi la distinzione di Chomsky tra apprendimento basato sulla forma ed acquisizione linguistica (learning / acquisition) che, come nella prima lingua, si realizza in maniera spontanea, attraverso l’esposizione. In questo senso la correzione dell’errore, tipico dell’insegnamento grammaticale, presenta il grave inconveniente di interrompere la comunicazione e di spostare l’attenzione dal messaggio, cioè dal significato, alla grammatica, dissipando le energie dello studente.

L’ipotesi centrale di Krashen è rappresentata dall’idea che l’acquisizione si realizzi attraverso un ‘Comprehensible Input’, un’esposizione alla L2 che sia comprensibile ma che implichi anche un grado di difficoltà rispetto all’attuale competenza (livello attuale i + 1, la descrive l’autore, riallacciandosi alla teoria di Vygotsky della ‘zona di sviluppo prossimo’).

Dunque, è l’Input, cioè l’esposizione alla lingua, che genera acquisizione prima, e produzione (‘fluency’) poi. Si tratta di uno dei punti più controversi della teoria di Krashen, che svaluta la produzione (‘output’), o meglio, la considera funzionale alla possibilità di interagire con gli altri parlanti soprattutto per regolare il livello di discorso e quindi accedere al ‘Comprehensible Input’. Lo studioso sottolinea come questa relazione tra esposizione ed acquisizione appaia nelle forme spontanee dell’apprendimento della prima lingua nella comunicazione genitori – bambino, o in quella di madrelingua – straniero. Ascolto e comprensione sono dunque il motore dell’acquisizione linguistica.

Le altre tre ipotesi sono dipendenti dalle due principali: la seconda riguarda l’esistenza di un ‘ordine naturale’ dell’acquisizione, che però non corrisponde a quello dei syllabus grammaticali; la terza è relativa al ruolo svolto dalla conoscenza consapevole delle regole grammaticali: Krashen è convinto che la conoscenza delle norme linguistiche non solo non possa essere di utilità all’acquisizione ed all’uso comunicativo della lingua, che avvengono in tempi brevi ed in maniera automatica, ma che possa costituire un effettivo intralcio alla comunicazione. Di conseguenza la funzione di controllo, definita di ‘Monitor’, può realizzarsi solo successivamente, e comunque con un ruolo piuttosto limitato, di mera riflessione e correzione. Anche la quinta ed ultima ipotesi, quella del ‘Filtro affettivo’, costituisce un chiaro rifiuto dei metodi basati sulla grammatica e sulla correzione dell’errore: se lo studente è in una situazione di ansia ‘da performance’ ed è preoccupato per i possibili errori piuttosto che per l’efficacia della comunicazione, si inibirà il meccanismo di acquisizione linguistica a causa della perdita di motivazione, della diminuzione dell’autostima e del crescente livello d’ansia.

Nella seconda parte del secondo capitolo (pp. 33 – 49) e nel terzo (pp. 57 – 62), Krashen avanza la questione dell’utilità dell’insegnamento linguistico, rispondendo che esso costituisce un possibile strumento di progresso nella L2 solo se risponde ai criteri di esposizione e comprensibilità, imitando piuttosto l’ambiente informale dove si svolge la reale comunicazione, come il luogo di lavoro, piuttosto che una situazione deformante in cui la lingua è trasformata in sistema di regole. È da sottolineare tuttavia che lo studioso si riferisce a persone che vivono nel paese della L2 (immigrati) e che hanno accesso quindi ad una massiccia esposizione informale.

Nel terzo capitolo Krashen sottolinea che per esporre nella classe gli studenti alla L2 secondo le caratteristiche di comprensibilità e di trasmissione del significato sopra descritte l’insegnante deve intervenire in due modi: semplificando la lingua per adattarla al livello di competenza dello studente +1, e facilitando la comprensione attraverso l’utilizzo di immagini ed altri sussidi visivi o ‘realia’ (in youtube è disponibile un breve esempio di ‘lezione’, circa 3 minuti, proposta dallo stesso Krashen: http://www.youtube. com/watch?v=4K11o19YNvk consultato il 02/11/2011 ).

L’attenzione al significato piuttosto che alle strutture grammaticali implica anche una maggiore rilevanza e motivazione del messaggio rispetto allo studente (Optimal Input is interesting and / or relevant), ma soprattutto deve essere adeguato anche dal punto di vista quantitativo e realizzarsi in un ambiente di apprendimento che non metta lo studente sulla difensiva, cioè non attivi il ‘filtro emotivo’. Alla funzione dello studio della grammatica Krashen dedica il quarto capitolo, nel quale ribadisce l’ipotesi di un suo ruolo limitato di ‘monitor’ e soprattutto la necessità di evitare che interferisca con l’acquisizione.

Il secondo nucleo del testo è costituito dal quinto capitolo, ‘Approaches to Language Teaching’, in cui l’autore valuta gli approcci didattici in base ai criteri ed alle ipotesi definite nella sua ‘Acquisition Theory’.

Non è il caso di sintetizzare le conclusioni dell’autore su ogni singolo metodo, poiché possono essere raggruppati nella distinzione tra approcci basati sullo studio della grammatica, che nel complesso offrono un’inadeguata esposizione sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, e nuovi metodi fondati sulla comunicazione. Tra questi ultimi Krashen privilegia il ‘Natural Approach’ sviluppato da Tracy Terrell all’Università della California dove Krashen insegna, e presto influenzato dalla sua teoria dell’acquisizione. Le caratteristiche di esposizione, costruzione e comunicazione del significato, riduzione del filtro affettivo e della funzione del monitor evidenziano la coerenza di questo approccio con criteri della teoria di Krashen.

Le ipotesi di Krashen hanno conosciuto un ampio successo, e la diffusione dei principi della didattica comunicativa hanno radicalmente trasformato i metodi di insegnamento linguistico. Tuttavia alla teoria dell’acquisizione attraverso la semplice esposizione sono state mosse alcune critiche. Quella più rilevante riguarda il ruolo di quello che Merrill Swain definito il ‘Comprehensible Output’ (produzione comprensibile): secondo la ricercatrice la sola esposizione all’Input non è sufficiente. Il punto più rilevante della teoria è rappresentato dalla relazione che la studiosa istituisce tra produzione del linguaggio, attività cognitive coinvolte nell’apprendimento disciplinare sia in forma individuale che collaborativa, consapevolezza delle proprie difficoltà espressive e della necessità di adeguare / migliorare l’uso linguistico.

Si tratta di un aspetto di estrema rilevanza per la didattica CLIL soprattutto per le sue implicazioni metodologiche: mettendo al centro dell’apprendimento linguistico e disciplinare la relazione tra attività cognitive, uso comunicativo della lingua ed interazione collaborativa tra gli studenti queste teorie confluiscono tutte in una richiesta di radicale trasformazione delle strategie didattiche didattiche e frontali per l’insegnamento CLIL

I commenti sono chiusi.